Gli Omega 3 sono acidi grassi essenziali, molecole indispensabili per il corretto funzionamento dell’organismo che devono essere assunte attraverso l’alimentazione. Fonti di origine
vegetale sono le noci e la frutta a guscio in genere, mentre fonti di origine animale, possono essere il salmone, lo sgombro, le microalghe e l'olio di pesce. Gli Omega 3 sono associati alla riduzione dell’infiammazione e alla diminuzione del rischio di sviluppare patologie croniche. Le forme "attive" sono EPA e DHA, e sono particolarmente abbondanti nel cervello, dove contribuiscono alle capacità cognitive e alla regolazione dei comportamenti; l' assunzione di DHA in gravidanza viene consigliata per favorire il buon sviluppo del sistema nervoso e della vista del bambino. Anche se il risultato degli studi che correlano l'assunzione di Omega 3 con la riduzione del rischio cardiovascolare è contrastante, i benefici dell'assunzione di Omega 3 superano di gran lunga le preoccupazioni relative alla loro assunzione, tant'è che l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) raccomanda di assumere almeno 250 mg di Omega 3 al giorno. Abbiamo detto quindi che sono fondamentali per combattere l'infiammazione cronica, che sempre più spesso è la causa dei nostri malesseri e delle nostre malattie…. Ma quali scegliere? Ricordiamo che quelli di origine vegetale contengono l'acido alfa-linoleico, che è un precursore degli omega 3 "attivi" nel corpo, l'EPA e il DHA, quindi sono assolutamente validi ma in un contesto di perfetto funzionamento delle vie enzimatiche che portano alla sua trasformazione nelle forme attive. Al contrario gli OMEGA 3 di origine animale contengono già le forme attive, quindi sono da preferire qualora vi fosse un reale bisogno di integrazione. Per ultimo (ma non ultimo), ricordiamo che è da preferire il pesce pescato perchè in quello di allevamento le quantità di omega 3 sono decisamente inferiori, dovute alla tipologia di mangimi con cui vengono allevati.
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Da tempo l’intestino è considerato il nostro secondo cervello, essendo ampiamente dimostrato che esiste una comunicazione bidirezionale tra i due organi, tramite percorsi nervosi, ormonali e immunologici. I “due cervelli” si influenzano a vicenda, determinando il nostro stato di benessere psico-fisico: basti pensare che la maggior parte della serotonina, il cosiddetto "ormone del buon umore", viene prodotta proprio dall’intestino! L’intestino è costituito da miliardi di cellule batteriche di varie specie, che va sotto il nome di microbiota: è come un’impronta digitale, ognuno ha il proprio, anche se di base alcuni ceppi batterici sono e devono essere gli stessi. La quantità, la qualità e la diversità dei vari batteri sono l’indice del nostro stato di salute, avendo essi importanti funzioni quali: fermare i patogeni, aiutarci nella risposta immunitaria, sintetizzare alcune vitamine del gruppo B e la vitamina K. Esistono dei ceppi batterici che però più di altri vanno ad influenzare le funzioni cerebrali, tramite la produzione di neurotrasmettitori, oppure esercitando effetti sull’asse HPA (ipotalamo-ipofisi-surrene) che è coinvolto nella risposta allo stress, oppure ancora attraverso un’azione antinfiammatoria. Oggi noi ingeriamo e respiriamo una quantità di sostanze tossiche e inquinanti che senza dubbio ci portano ad essere perennemente in una situazione di disbiosi (squilibrio del microbiota), che ha come conseguenza la prevalenza di uno stato infiammatorio anche sub-clinico, quindi con minime sintomatologie, che però possono costituire un campanello d’allarme. E’ noto che livelli cronici ed elevati di infiammazione sono una delle cause della depressione e di altri disturbi dell’umore e cognitivi, e che l’infiammazione può derivare dall’intestino. I probiotici possono abbassare quest’infiammazione, e avere così effetti benefici sui disturbi cerebrali. Questi probiotici, per i quali è stato coniato il termine “psicobiotico”, possono essere assunti come integratori o tramite la dieta. Cosa possiamo fare? Un disbiosi test sulle urine può essere utile a capire quali sono i batteri carenti, e di conseguenza agire con un’integrazione di probiotici, solitamente lattobacilli e bifidi, e migliorare il nostro stile di vita seguendo un’alimentazione più equilibrata e uno stile di vita più sano. Bibliografia: 1)Berer K. Mues M., koutrous M.,et al., Commensal autoimmune demyelimination, Nature 2011 2) Yokte H., Miyake S., Croxford JL, et al., NKT cell-dependent amelioration of a mouse model of multiple sclerosis by altering gut ora. Am J Pathol 2008 3) Forsythe P, Bienestock J. Immunomodulation by commensal and probiotic bacteria. Immunol Invest 2010 4) Cryan JF., Dinan TG. Mind-altering microrganism: the impact of the gut microbiota on brain and behaviour. Nat Rev Neurosci 2012 5) Diaz heijtz R, Wang S. Annuar F et al. Normal gut microbiota modulates brain development and behavioor. Proc. Natl Acad Sci USA 2011 Oggi parlo di the verde. Chi mi segue lo sa, ne sono fanatica! Contiene oltre il 35% di polifenoli (catechine), molecole a potente azione antiossidante che, se correttamente assorbite, possono essere protettive per i tumori, per le malattie cardiovascolari, e, da recenti studi, anche per le malattie neurodegenerative su base infiammatoria. Ma quanto ne devo prendere per poter avere un'azione preventiva? Tanto dipende dalla quantità di catechine contenute nel the (e spesso non è nemmeno indicato in etichetta!), dal tempo di infusione, dalla personale capacità di assorbimento. In generale, gli studi hanno evidenziato che un'assunzione di almeno 5 tazze al giorno (consumo delle popolazioni orientali) sono correlate ad una riduzione dell'incidenza della mortalità per patologie cerebrovascolari. Quindi via libera al consumo di the verde, antiossidante, protettivo, drenante, privo di effetti tossici, e anche buono! Attenzione solo al contenuto di teina, che anche se ci aiuta a mantenere attivo il nostro metabolismo e quindi a mantenere il peso corporeo, può avere gli stessi effetti negativi della caffeina sul sonno, in persone sensibili.
Tanti miei pazienti – se non tutti!- mi chiedono: “e la pizza?”
Le considerazioni da fare sono molte. Innanzi tutto ricordiamo che la pizza è un momento sociale e deve essere vissuto con leggerezza, anche se con qualche accorgimento. Come tutti sappiamo la base della pizza è formata da farina, acqua, sale, lievito; il condimento di base è mozzarella e pomodoro, cui vanno aggiunti olio ed eventuali altri ingredienti a piacere. Le variabili sono tante, e dipende dalla quantità e dalla qualità degli ingredienti usati, in particolare: · Dalla quantità di impasto della pizza · Dal rapporto acqua-farina · Dal tipo di farina e dalla quantità di carboidrati che contiene · Dal tipo di mozzarella e dalla quantità di grassi che contiene Come per ogni alimento o piatto, la fa da padrona la qualità degli ingredienti, quindi è fondamentale scegliere se possibile, farina di buona qualità (si dice con una buona “forza”), magari integrale o poco raffinata (farina 0), e con lievitazione e maturazione lunga, con lievito madre. Questo perché aumenta la digeribilità ed evita il gonfiore addominale, in quanto diamo tempo di agire non solo ai lieviti , ma anche agli enzimi presenti nella farina, che agiscono su amidi e glutine. Purtroppo il sale è sempre aggiunto troppo abbondantemente, sia perché fa bere di più, sia perché rende più appetitosa una pietanza, soprattutto se gli ingredienti sono un po’ troppo “anonimi”. La mozzarella dovrebbe essere vero fiordilatte o bufala, ma quasi sempre vengono usate le famigerate cagliate, il cosiddetto “panetto da pizza”, magari preparate con latte in polvere e provenienti dall’estero invece che da latte fresco. Il motivo? Rispetto alle mozzarelle tradizionali, questi prodotti costano meno e hanno una resa maggiore, ma c’è un piccolo problema: quando la pizza si raffredda il formaggio a pasta filata assume l’aspetto di una lastra di plastica! A livello nutrizionale la pizza margherita con verdure può essere considerata un alimento completo: contiene i carboidrati sotto forma di amido (nella farina), i lipidi vegetali dell'olio extra vergine di oliva e quelli animali della mozzarella di bufala o fior di latte, le proteine animali ancora dalla mozzarella. Purtroppo però non è un alimento ipocalorico: una margherita del peso di 250-300 g dà un apporto di oltre 700 calorie peraltro molto sbilanciate a favore dei carboidrati e dei grassi saturi. Si scelga quindi una buona pizza artigianale fatta con ingredienti “veri”, che ci possiamo permettere non più di una volta la settimana, prediligendo una buona base, poco sale, poca mozzarella “vera”, e tante verdure! E magari ne lasciamo volutamente una fetta nel piatto: qualche commensale sarà senz’altro contento di aiutarci a finirla! Dott.ssa Sonia Calimandri Biologa nutrizionista 389/4929364 Sto vedendo molte persone che soffrono della sindrome dell’intestino irritabile (IBS) o di disturbi ad essa correlati. Magari non lo sanno neanche e vengono da me per perdere o prendere qualche chilo! Oltretutto, le persone che soffrono di forme lievi, sono talmente abituate ad avere malesseri intestinali che non ci fanno neanche più caso, e la considerano quasi la normalità! Eppure si sta diffondendo il termine DIETA LOW FODMAP…. Di cosa si tratta? FODMAP è un acronimo che sta per “Fermentable Oligo-saccharides, Disaccharides, Mono-saccharides and Polyols”. Più semplicemente si tratta di zuccheri dall’alto potere fermentativo (carboidrati a corta catena tra cui fruttosio, lattosio, fruttani, xylitolo, mannitolo, ecc), che possono alimentare i sintomi più comuni della sindrome dell’intestino irritabile (pancia gonfia, meteorismo, dolore addominali, stipsi o diarrea, o entrambe). Viene definita Sindrome perché non si guarisce del tutto, ma grazie alle scelte giuste alimentari si può tenere bene sotto controllo. La dieta è stata sviluppata da un gruppo della Monash University a Melbourne, in Australia, ed ha iniziato a farsi conoscere dopo la pubblicazione della ricerca nel 2008, nella quale è stato affermato che i carboidrati fermentabili alimentari (FODMAP) provocano effettivamente sintomi nei pazienti affetti dall’IBS. (1) Da allora sono stati fatti altri studi controllati randomizzati che hanno dimostrato un chiaro beneficio dovuto all’impiego della dieta a basso contenuto di FODMAP. (2,3). La ricerca ha dimostrato più volte che i pazienti che seguivano questa dieta mostravano un notevole miglioramento di tutti i sintomi (gonfiore, diarrea, meteorismo, ecc). (4) A dimostrazione della validità di questa dieta, il fatto che nel 2010 la dieta low- FODMAP è entrata a fare parte delle UK British Dietetic Association IBS Guidelines (5) e nel 2011 è stata inserita nelle Australian National Therapeutic Guidelines. (6) Inoltre, altre ricerche (7) dimostrano che la dieta non è solo utile in caso di IBS, ma potrebbe aiutare a migliorare i sintomi funzionali intestinali anche per altri tipi di disturbi, come le malattie infiammatorie intestinali. (8) Ed ecco perchè tante persone, anche se non affette proprio da IBS, necessitano di questa dieta per avere un miglioramento della qualità della vita! Perchè questi composti possono creare dei problemi intestinali? Questi carboidrati provocano sintomi intestinali da un lato perchè sono indigesti, quindi fermentati dai batteri del colon, con conseguente produzione di gas e possibili dolori intestinali (9); dall’altra causano un effetto osmotico richiamando acqua al colon prossimale. (10) In cosa consiste la dieta? Innanzi tutto in una prima fase che implica l'esclusione completa di alimenti contenenti FODMAP, per un periodo di 2-8 settimane, dietro raccomandazione e sotto la supervisione di un nutrizionista qualificato ed esperto nell’approccio della dieta low FODMAP. Quindi seguirà un lungo periodo di reintroduzione graduale degli alimenti eliminati, secondo modalità e quantità ben precise, che permetteranno al nutrizionista di seguire al meglio la persona e di modificare l’approccio in corsa, così da rendere il protocollo personalizzato, sicuro ed efficace per ognuno. L’obiettivo è ovviamente quello di far conoscere al singolo quali siano gli alimenti o i composti non tollerati o in quali quantità tollerate, così che nel lungo periodo ogni persona possa conoscere il proprio organismo e le proprie reazioni, e condurre di conseguenza una vita sana, dal punto di vista sia fisiologico che sociale. Esistono diverse liste dei “cibi si e “cibi no”, qui ne riporto una, ma ricordo che l’approccio per la remissione dei sintomi non è solo quello di eliminare i cibi non permessi, ma di far “riposare” la parete intestinale per un periodo congruo di tempo, affinchè possa poi accettare i cibi contenenti FODMAP, nelle quantità che ognuno possa tollerare, tenendo conto del fatto che non è il contenuto di un singolo cibo ma il contenuto totale di FODMAP consumato nel pasto a determinare la comparsa o meno dei sintomi. Bibliografia (1) Shepherd S. J. P. F, Muir J. G., Gibson P. R. Dietary Triggers of Abdominal Symptoms in Patients with Irritable Bowel Syndrome: Randomized Placebo-Controlled Evidence. Clinical Gastroenterology and Hepatology. 2008;6(7):765–771 (2) Staudacher H. M., Lomer M. C., Anderson J. L., Barrett J. S., Muir J. G., Irving P. M. et al. Fermentable carbohydrate restriction reduces luminal bifidobacteria and gastrointestinal symptoms in patients with irritable bowel syndrome. The Journal of nutrition. [Randomized Controlled Trial Research Support, Non-U.S. Gov't]. 2012 Aug;142(8):1510–1518 (3) Halmos E. P., Power V. A., Shepherd S. J., Gibson P. R., Muir J. G. A diet low in FODMAPs reduces symptoms of irritable bowel syndrome. Gastroenterology. [Randomized Controlled Trial Research Support, Non-U.S. Gov't]. 2014 Jan;146(1):67–75 e5 (4) Bellini M. T. C., Costa F., Biagi S., Stasi C., El Punta A., Monicelli P., Mumolo M. G., Ricchiuti A., Bruzzi P., Marchi S. The general practitioners approach to irritable bowel syndrome: From intention to practice. Digestive and Liver Disease. 2005;37(12):934–939 (5) British Dietetic Association. UK evidence-based practice guidelines for the dietetic management of irritable bowel syndrome (IBS) in adults. Birmingham September 2010 (6) Government NSW, Australia. Therapeutic Diet Specifications for Adult Inpatients. Chatswood, New South Wales, Australia: Agency for Clinical Innovation; 2011 (7) Staudacher H. M., Whelan K., Irving P. M., Lomer M. C. Comparison of symptom response following advice for a diet low in fermentable carbohydrates (FODMAPs) versus standard dietary advice in patients with irritable bowel syndrome. J Hum Nutr Diet. [Comparative Study Research Support, Non-U.S. Gov't]. 2011 Oct;24(5):487–495 (8) Gearry R., Irving P. M., Barrett J. S., Nathan D. M., Shepherd S. J., Gibson P. R. Reduction of dietary poorly absorbed short-chain carbohydrates (FODMAPs) improves abdominal symptoms in patients with inflammatory bowel disease - a pilot study. Journal of Crohns and Colitis. 2009;3(1):8–14 (9) Ong D.K. M. S., Barrett J. S., Shepherd S. J., Irving P. M., Biesiekierski J. R., Smith S., Gibson P. R., Muir J. G. Manipulation of dietary short chain carbohydrates alters the pattern of gas production and genesis of symptoms in irritable bowel syndrome. Journal of gastroenterology and hepatology. 2010;25(8):1366–1373 (10)Barrett J. S., Gearry R. B., Muir J. G., Irving P. M., Rose R., Rosella O. et al. Dietary poorly absorbed, short-chain carbohydrates increase delivery of water and fermentable substrates to the proximal colon. Alimentary pharmacology & therapeutics. [Randomized Controlled Trial Research Support, Non-U.S. Gov't]. 2010 Apr;31(8):874–882 |
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